Per Walker Evans tutto è importante, l’assenza di gerarchia è uno dei suoi punti di forza e forse anche la sua vera sfida. Il suo sguardo è freddo e razionale, analitico, nitido.
Raccoglie informazioni sul campo, non prepara anticipatamente gli scatti perché è interessato a cogliere la situazione che troverà, come se esistesse una “composizione inconsapevole”, pronta prima che arrivi il fotografo.
Il soggetto sembra offrirsi allo spettatore così com’è senza filtri, il grande formato impone la staticità e l’atteggiamento riflessivo, come avviene negli scatti di August Sander, di cui Evans è ammiratore fin dai primi anni ’30 (è l’unico negli Stati Uniti a parlare del libro “Uomini del Ventesimo Secolo” in una rivista specializzata).
Preferisce la frontalità che rende piatti i soggetti e li coglie integralmente. È interessato parallelamente alla bidimensionalità e all’oggetto quotidiano, per registrarne l’usura quotidiana e raccontarne a storia.
Nel caso dei ritratti il soggetto si trova ad essere protagonista nella costruzione dell’immagine: la ricerca di un’inquadratura troppo ricercata significherebbe maggiore intervento da parte del fotografo. Evans aspira alla pura “registrazione”, in simbiosi con la macchina, non è uno scopritore della bellezza nella quotidianità (come nell’accezione surrealista) perché questo metterebbe lui stesso al centro; il fotografo si limita ad osservare e riprodurre per conservare.
Si tratta di una pura registrazione, non di propaganda. NIENTE POLITICA, di nessun tipo.
Così Evans parla di sé nel 1935, per distinguersi dagli altri che come lui collaborano alla Farm Security Administration (allora ancora Resettlement Administration), costituita dal governo Roosevelt per le sovvenzioni ai piccoli agricoltori e il loro riposizionamento in aree più idonee all’attività agricola. Per promuovere questa attività e raccontare la vita dei contadini e delle loro comunità viene avviata una campagna fotografica per la quale Evans sarà l’esponente più autorevole e seguito dai colleghi, anche se presto la abbandonerà proprio per la sua insofferenza verso il racconto propagandistico, che col passare del tempo diviene preponderante.
Così segue progetti che lo coinvolgono di più, come quello che lo porta in Alabama con lo scrittore James Agee per la rivista Fortune. Ne nascerà un libro, “Sia lode ora a uomini di fama”, pubblicato nel 1941, che andrà oltre i primi propositi, quelli di un semplice reportage di una famiglia di contadini dell’Alabama. Evans colloca le immagini in apertura del libro, prive di didascalie: considera stucchevole ogni sottolineatura, anzi giudica immorale qualunque intervento “sentimentale”. Lascia la parola ad Agee per il racconto della loro straordinaria esperienza umana. Il loro libro è una risposta ad Erskine Caldwell e la collega Bourke-White che in “You have seen their faces” del 1937 avevano dato vita ad un ritratto dei contadini del sud patetico e carico di commenti ridondanti.
Quello di Evans è un atteggiamento scientifico, poco incline alla ricerca di giusto o sbagliato, bello o brutto.
Le cose vanno accettate come sono, e questo viene rigettato da coloro che si aspettano dalla fotografia necessariamente bellezza, emozioni forti, messaggi prevedibili e didascalici. Evans trova il soggetto, lo coglie spesso dal punto di vista che gli consente maggiore ricchezza di dettaglio e possibilità di riflessione complessiva (frontale, insieme) e lo offre allo spettatore per consentirgli la stessa analisi.
È il rifiuto della visione rivelatrice dell’arte ma anche dell’interpretazione critica posta didascalicamente e dell’emozione preconfezionata.
Lo “stile documentario” per Evans significa lasciare agli altri lo spazio per muoversi e riflettere, indagare e raccogliere informazioni, senza imporre una propria visione, di fatto offrire agli altri la stessa possibilità di osservare che il fotografo ha trovato di fronte ai propri occhi.
Il signor Evans, nel 1931, fotografava i cartelloni stradali nelle strade americane. Lui che all’inizio voleva fare lo scrittore, sceglie la fotografia per usarla come un testo e raccontare la vita fuori, l’America lavoratrice, dimessa, consumata, povera ma dignitosa. Ma lo fa senza patetismo, con grande rispetto del mezzo fotografico e dei soggetti prescelti, con atteggiamento lucido e riflessivo, narrativo ma senza pathos, perché non ne ha bisogno.
Dal 1937 si spingerà oltre, andrà in metropolitana a New York e sperimenterà la fotografia “senza il fotografo”. Ma questa è una storia che merita un altro racconto.
La sua gigantesca eredità è difficile da dipanare, oggi, perché quello che è venuto dopo, quando guardi le sue foto, sembra già vecchio.
Per approfondire:
- O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia. Da August Sander a Walker Evans 1920-1945, 2008
- W.Evans, J.Agee, Sia lode ora a uomini di fama, 1941
Bellissimi scatti e da questi scatti si può vedere che Walker Evans era un grande fotografo
Non c’è dubbio! 🙂