Il ritratto perfetto secondo me esiste: l’ha realizzato August Sander intorno al 1945.
Il suo soldato che ci guarda dritti in faccia, con quell’aria vagamente malinconica che stride col portamento e il ruolo, è senza tempo. Il paesaggio scarno che si staglia sullo sfondo sembra piuttosto anonimo se non fosse per il particolare della casa a graticcio che identifica una tipica fattoria tedesca della campagna fuori Colonia dei primi del ‘900. La sua luminosità svolge una funzione importante: mette in risalto la testa con l’elmetto del soldato, mentre il suo busto, esattamente dal colletto in giù, si mescola col terreno.
Un’immagine spezzata in due, sia nello sfondo che nel soggetto principale. Il soldato è illuminato frontalmente, con gli occhi chiari che spiccano appena sotto l’elmetto e lo stemma della divisa e la cintura che si accendono in un bagliore: gli elementi sono sufficienti a darci poche informazioni essenziali, ma ciò che percepiamo immediatamente è l’assenza di giudizio. C’è un uomo aldilà del soldato. E c’è un metodo.
Questo ritratto mi ha catturato dal primo momento che l’ho visto: c’è qualcosa di misterioso nel suo magnetismo. Non che Sander non ne abbia prodotti altri di capolavori di questo genere, ma questo proprio mi incanta. Ho come l’impressione che il segreto sia nel punto di vista, quasi a volo d’uccello, come se ci stessimo sollevando lentamente di fronte al soldato e cominciassimo ad osservare il terreno sotto ai nostri piedi. C’è una strana sensazione di movimento in questa immagine: la sua staticità, alimentata dalla visione fissa frontale, è solo apparente.
Una fotografia come questa, costruita con questa maestria, è paragonabile solo alla ritrattistica più raffinata della storia dell’arte. E nel suo forte simbolismo c’è anche la storia della prima metà del XX secolo. Nelle parole di Alfred Döblin è spiegato il progetto ambizioso e mai terminato di Sander, e il suo metodo: un misto di arte, psicologia e sociologia che ci ricorda un’epoca irripetibile, ben identificato dal titolo “Uomini del Ventesimo Secolo”. Lo scrittore tedesco parlando dei fotografi come Sander (specificando come in realtà del suo genere esista solo lui) annuncia:
la loro opera non consiste nella produzione di ritratti somiglianti, in cui si possa riconoscere con facilità e certezza un individuo determinato, ma di ritratti in cui si debba riconoscere qualcosa d’altro.
Döblin sostiene che Sander stia producendo la prima opera di sociologia per immagini mai realizzata, una fotografia “comparativa” scientifica che intende delineare una sorta di campionario umano dei primi trentanni del ‘900: da questo straordinaria raccolta di ritratti chi verrà potrà imparare di più che da qualunque libro o cronaca dell’epoca.
Sander pubblica la prima versione del suo progetto dal titolo Antlitz der Zeit (Volti del nostro tempo), con l’introduzione di Döblin, nel 1929: lo stesso anno in cui Döblin pubblica Berlin, Alexanderplatz, lo stesso anno dell’inizio della gravissima crisi economica che porterà al disastro, l’inizio della fine della Repubblica di Weimer.
Nel 1934 il figlio di Sander verrà arrestato come oppositore del partito nazista e verrà condannato a 10 anni di prigione, dopo i quali morirà. Sander nel ’42 fugge da Colonia in campagna, dove riuscirà a salvare parte dei suoi negativi. Il suo progetto era stato condannato al rogo dai nazisti: nella sua opera gli uomini erano tutti uguali. Il messaggio in effetti era chiaro: i ritratti dovevano raccontare “tassonomicamente” la società, le sue classi sociali, la sua umanità, ma secondo una concezione “scientifica”, come una specie di catalogazione senza pregiudizio. Così si vedono uomini d’affari accanto a macellai, circensi accanto a studenti, attori e contadini, lavoratori di ogni estrazione sociale raccontati in una sorta di grande emozionante affresco che nell’esito di molti dei ritratti, singoli o di gruppo, cela una straordinaria sensibilità poetica. Certo i nazisti non potevano apprezzare, da nessun punto di vista.
L’opera di Sander rappresenta una preziosa eredità, per molteplici ragioni, estetiche e culturali insieme, proprio come auspicava Döblin. Lo sa bene il regista austriaco Michael Haneke, che nel suo magnifico Il nastro bianco (2009) si è ispirato ai volti di Sander nella ricostruzione del villaggio rurale della campagna tedesca precedente alla prima guerra mondiale. In effetti guardando il film si ha nettamente la sensazione di tuffarsi nel mondo evocato dalle immagini di Sander.
È appena iniziata a Genova una mostra dedicata interamente a Sander. Spero di riuscire a vederla.
- August Sander. Ritratto del XX secolo – Genova, Palazzo Ducale (11 aprile – 23 agosto 2015)
- Uomini del ventesimo secolo è edito in Italia da Abscondita nell’edizione del 1929 con l’introduzione di Döblin.
- Su Getty.edu sono consultabili più di 1000 immagini di Sander
Un pensiero su “Sander e il ritratto perfetto”