Osservi dalla strada un negozio con la sua vetrina e la fantasia comincia a viaggiare. Improvvisamente si materializza uno strano gioco di superfici, simmetrie, riflessi e profondità inaspettate, e poi i volti nell’oscurità, deformati, misteriosi, pensierosi. In un attimo la realtà e il sogno convivono, trovano una sintesi irripetibile. Il fotografo, nei panni del testimone, lo cattura e poi quell’attimo non c’è più.

Eugène Atget, 1900
Uno strano caso, quello di Atget, genio postumo per alcuni, puro documentatore per altri, in ogni caso determinante per gli sviluppi della fotografia del XX secolo.
Attore mancato, si rivolge alla fotografia e dal 1897 comincia a raccogliere una produzione vastissima di immagini della “vecchia Parigi” da vendere a musei, istituzioni, artisti, che sono i suoi committenti. Morirà 20 anni dopo, lasciando un grande archivio di immagini (10 mila) che costituiranno la sua “scoperta”, ad opera dei fotografi americani Man Ray e soprattutto Berenice Abbott che lo acquisterà e lo porterà negli Stati Uniti.
Man Ray, che abita nella stessa via di Atget, nel ’26 pubblica alcune sue fotografie in “La Révolution surréaliste”, assimilando quello che fin ad allora era un lavoro essenzialmente documentario a scopo commerciale ad un discorso estetico, incentrato sull'”accumulo ripetitivo” (R.Krauss), sui riflessi (soprattutto gli auto-riflessi) e le simmetrie che, secondo la lettura surrealista, svelano un mondo misterioso e inesplorato.

Eugène Atget, 1908
Questa lettura parziale e arbitraria rispetto al complessivo catalogo di Atget ha spesso prevalso nell’interpretazione complessiva delle sue immagini, dando vita ad una letteratura che ha cercato di ingabbiarlo a tutti i costi nei panni dell'”artista” che interpreta la realtà secondo una visione creativa e soprattutto progettuale (una grande idea). Forse è più fedele la “versione” che ne darà Berenice Abbott, che portandolo a New York lo consacrerà come padre spirituale della fotografia americana, “avanguardista isolato” (O.Lugon), mentre verrà celebrato anche in Europa già dal 1929 come il primo vero moderno.
Insomma Atget poeta surrealista di Parigi o Atget mente di un’idea più grande di lui?

Eugène Atget, 1902
Lui non dichiarò mai nulla della sua poetica e morì prima del trionfo, ma forse la verità è nel mezzo. Metodico per mestiere (sulla porta del suo studio c’era scritto “Documenti per artisti”), raccoglieva materiale in tali quantità e varietà da richiedere una speciale forma di catalogazione tematica, funzionale al tipo di clientela. Probabilmente raggiunse un certo tipo di consapevolezza solo tardi, senza avere il tempo di lasciarci una sua riflessione. Questo pezzetto mancante del puzzle ha indotto il mondo dell’arte, della fotografia, della critica e della storiografia ad interpretare le sue strade, i suoi scorci con i particolari e le vetrine della Parigi in trasformazione, ciascuno secondo il proprio disegno e la propria idea.
Bello scoprire che ancora oggi catturano la nostra attenzione rivelandoci un mistero al quale non possiamo dare un nome.