Pensare in trasparenza (Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri)

storie di fotografia e arte

Vi è mai capitato di leggere un libro e di desiderare che continuasse ancora, all’infinito, non per l’emozione estemporanea o per la sua incalzante narrazione, ma per il potere che aveva di mettere tutte le cose a posto? Io questo desiderio l’ho provato con “Lezioni di fotografia” di Luigi Ghirri.

Avevo iniziato a leggerlo tempo fa ma, come purtroppo succede spesso sul mio comodino, si accumulano pagine non lette e rimandate ad un domani imprecisato. E ogni tanto mi capita di prendere delle decisioni non più prorogabili, come quella di spegnere il tablet e riaprire uno di quei libri.

Mai scelta fu più felice, oggi più di ieri, perché se lo avessi letto ieri non avrei capito molte cose.

Non sono andato a scuola in un laboratorio di fotografia, o in uno studio fotografico, o in un’agenzia fotografica, non ho fatto il fotoreporter, né il fotoamatore. La mia esperienza è nata piuttosto da una frequentazione dell’immagine, da una passione anche un po’ dilettantesca, se si vuole, ma che si è immediatamente, fin dall’inizio, orientata ed esplicata all’interno del mondo dell’arte.

L’avvicinamento alla fotografia per Ghirri è un processo che nasce dalla frequentazione dell’arte concettuale, negli anni ’70. Dalla riflessione sull’immagine, sul linguaggio e sul segno, al culmine in quel momento, scaturisce un interesse per il mezzo e per le sue possibilità comunicative. Si tratta di un esempio raro, perché nella maggior parte dei casi si arriva alla fotografia attraverso percorsi consolidati, più tradizionali.
Questo itinerario spiega molti aspetti del suo approccio, ma non dice molto della sua sensibilità, che viene da un dove imprecisato e si impadronisce dell’immagine.

Luigi Ghirri, Ile Rousse, 1976 (Kodachrome)

Luigi Ghirri, Ile Rousse, 1976 (Kodachrome)

Quando noi fotografiamo, vediamo una parte del mondo e un’altra la cancelliamo.

Un’ovvietà? Io non l’avevo mai sentito dire, non in questi termini. Che fotografare sia un esercizio di selezione è fin troppo scontato (al punto che ce ne dimentichiamo), ma detta così questa storia appare completamente diversa, perché l’accento cade su ciò che cancelliamo. Quel gesto, l’eliminazione di ciò che non ci interessa, sembra restituire importanza alla consapevolezza e all’analisi di ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi.

Il lavoro del fotografo, quel lavoro che vorrei fare un po’ anche con voi, credo consista nella stesura di una carta geografica più che nel seguire una linea retta, una strada precisa, una specie di percorso obbligato; nel costruire piano piano, assieme, una specie di mappa sulla quale ognuno può trovare la sua strada pur muovendosi all’interno di una serie di regole prestabilite.

Ghirri parla ai suoi studenti, il libro è una raccolta di trascrizioni dal suo corso tenuto tra il 1989 e il ’90 a Reggio Emilia. Li sprona ad elaborare una propria progettualità, il proprio percorso “a zig zag” nell’ambiente, per acquisire una visione più complessa della realtà attingendo alla propria curiosità.

Si sofferma molto sulla luce e sulla sua riproduzione attraverso la sensibilità della pellicola, sulle pellicole stesse e le differenze di resa rispetto all’occhio umano, sulle differenze tra vari ambienti di ripresa, e sul rapporto tra fotografia e pittura. Ghirri comincia ad aprire delle porte, lasciandole ogni tanto socchiuse, sui tanti aspetti che la fotografia porta ad approfondire, mostrando il proprio lavoro come se ogni scatto fosse il frutto di una ricerca singola, articolata, ma sempre parte di una visione d’insieme. Come se tutto fluisse, senza intoppi, in modo naturale, come se il mondo intorno a noi, le cose di ogni giorno, stessero lì ad aspettare di essere fotografate.

La sua opera è tra le poche del Novecento, che lascia agli spazi, agli oggetti, ai paesaggi, il compito di rivelarsi al nostro sguardo, con una riservatezza, una dignità prima sconosciute.

Questa frase invece è tratta da un altro libro dedicato a Ghirri, “Bello qui, non è vero?”, dove sono riportati alcuni scritti del fotografo, tra i quali uno su Walker Evans, al quale sono dedicate questa ed altre riflessioni. La sua ammirazione per Evans è paragonabile solo a quella che nutre per Bob Dylan, ed è su questa scoperta che ho bisogno di soffermarmi un momento, perché a volte, quando ti accorgi che tutto torna, che il flusso è in realtà un circolo, ti prendi una pausa.

E così ripenso a quel giorno che alla Biennale di Venezia, poco meno di due anni fa, mi ritrovai un po’ sorpresa di fronte ai provini a contatto di Evans sui contadini dell’Alabama, messi lì (questa fu poi la mia conclusione) a ricordarci quanto giganteschi appaiono alcuni uomini di fronte al resto del mondo. E in questo processo di esplorazione della mia memoria torno a quell’affermazione di Evans sul rifiuto della propaganda (ne parlo in “Su Walker Evans“) e trovo puntualmente, di nuovo Ghirri:

Le mie non sono mai foto di denuncia. Lavoro moltissimo sull’ambiente, ma non sviluppo un percorso polemico, piuttosto un discorso di critica, di critica intesa come nodo dialettico, non come assunto.

Ecco una questione che torna nel suo flusso, quella della visione libera da progettualità eccessivamente costruite, che non danno spazio alla casualità (elemento prezioso per entrambi) e alla scoperta. La riflessività è l’altra colonna portante, la lettura lenta dell’immagine è obbiettivo dichiarato per chi vede il mondo intorno a sé, vicino e lontano senza differenze, come un grande ambiente da esplorare con lucidità e attenzione amorevole.

Luigi Ghirri su Aldo Rossi 1971-92 (dalla mostra

Luigi Ghirri su Aldo Rossi 1971-92 (dalla mostra “Cose che sono solo se stesse” alla Biblioteca Panizzi 1997)

Il grande ruolo che ha oggi la fotografia, da un punto di vista comunicativo, è quello di rallentare la velocizzazione dei processi di lettura dell’immagine.

Diceva così all’alba degli anni ’90, Ghirri, e cosa è successo dopo? Quale corto circuito si è innescato se il ragionamento allora sembrava filare liscio, nell’epoca del predominio del linguaggio televisivo, mentre oggi ci ritroviamo a riflettere sul consumo vorace e totalmente privo di riflessione delle immagini fotografiche, che scorrono davanti ai nostri occhi annoiati e disincantati? Certo internet non era prevedibile. Forse il ritorno alla fotografia analogica che si sta manifestando oggi è il segno di un percorso circolare: si torna indietro per riprendere un discorso sospeso, quello dell’immagine “lenta”.

Luigi Ghirri, Hergiswil, 1973 © Eredi di Luigi Ghirri

Luigi Ghirri, Hergiswil, 1973 © Eredi di Luigi Ghirri

Ma le parole di Ghirri ci rimandano anche ad altre problematiche attuali, sempre in circolo, come quella della relazione dell’uomo con l’ambiente inteso nel senso più vasto possibile, visto con l’occhio e la sensibilità del fotografo attento e curioso.

Io credo che dietro ai disastri dell’ambiente, a parte i meccanismi insiti in un determinato tipo di sviluppo, vi sia una disaffezione che l’uomo ha sviluppato nei confronti del suo ambiente negli ultimi 30 o 40 anni, alla quale ha corrisposto una fondamentale incapacità di relazionarsi con l’ambiente attraverso la rappresentazione

Luigi Ghirri, Cervia, 1989

Luigi Ghirri, Cervia, 1989

Anche a partire da questa riflessione nasce “Viaggio in Italia” (1984), progetto unico di collaborazione tra fotografi che Ghirri guidò nel tentativo di ricostruire attraverso le diverse sensibilità degli autori, una ventina, un rapporto con ciò che ci circonda ogni giorno e ci passa davanti senza che neanche ce ne accorgiamo. Proprio lì c’è bisogno del fotografo, che si sofferma su ciò che non vediamo, posa lo sguardo non solo dove è bello ma dove si manifestano “valori di altro segno”. Ghirri faceva questo abitualmente, per lui era normale fotografare le vetrine, le finestre, i manifesti, i cartelloni pubblicitari,  il “fotomontaggio della realtà” come lo definisce, dove le sovrapposizioni casuali sono già assemblate, pronte per essere fotografate. I suoi autoritratti nelle vetrine non sono un momento di vanità, ma di esplorazione del mezzo e della trasparenza.

Il problema dei principianti e le loro delusioni derivano da questa non dico scarsa conoscenza, ma da questo scarso approfondimento delle regole. Incontro moltissima gente che dice: “Io a fotografare non imparerò mai, i numeri mi fanno impazzire”. Intanto i numeri sono due

Le regole sono semplici, ma bisogna impararle, altrimenti non si ha consapevolezza del mezzo e si finisce con il rifiuto. La tecnica non può essere trascurata, è sempre preferibile avere un apparecchio che consente l’uso manuale, perché ci offre la possibilità di attuare le nostre scelte e quindi di avere più padronanza delle immagini, ma il percorso tecnico deve seguire in parallelo quello dell’osservazione e dello studio dell’immagine, anche ripercorrendone la storia.

Così mi ritrovo totalmente, ancora una volta, in quello che Ghirri intendeva come un mondo circolare, in cui la fotografia è testo, arte, riproduzione, evocazione, chimica, fisica, geometria.

Luigi Ghirri, Modena, 1973 MOMA

Luigi Ghirri, Modena, 1973 MOMA

Un mondo in cui fondamentale è rapportarsi con la “soglia”, il confine tra noi stessi, ciò che pensiamo, il nostro mondo interiore e l’esterno che tutti possono osservare, il luogo comune agli altri. Analizzare questo rapporto e individuare la soglia per capire cosa stiamo cercando: Ghirri sostiene di averla identificata con l’inquadratura.

Ci troviamo di fronte a un problema fondamentale, a una delle basi della fotografia. Il rapporto tra quello che devo rappresentare e quello che voglio lasciare fuori dalla rappresentazione

Ancora un tassello del puzzle che si mette a posto, il tema dell’esclusione che torna, il problema fondamentale del fotografo che cerca ispirazione nell’ambiente, che non costruisce a tavolino la scena come un pittore o un regista, ma apre una “finestra mentale” sulla realtà e cerca dei riferimenti. Ghirri non amava la luce artificiale, sulla linea di una poetica fedele al reale non perché la macchina fotografica sia in grado di riprodurre esattamente ciò che vediamo (“una fotografia appare sempre diversa da quello che si vede nella realtà”), ma preferita forse più per la necessità di aderire egli stesso a quell’etica dell'”essere individuo, senza abdicazioni per diventare fotografo o artista” che attribuisce al suo ispiratore Walker Evans. L’artificio è già nell’esclusione di ciò che non vogliamo nell’inquadratura, è già nella pellicola che utilizziamo, è già nel nostro modo di vedere le cose.

Luigi Ghirri, Parma, Interno della Certosa, 1987

Luigi Ghirri, Parma, Interno della Certosa, 1987

Nelle riviste di fotografia, nei confronti della fotografia c’è lo stesso rapporto che c’è con la musica nelle riviste dedicate all’hi-fi: (…) non si parla mai delle cose più importanti, cioè della musica. In fotografia accade la stessa cosa: si parla più del mezzo che del fine, della rappresentazione.

Bisogna avere pazienza, dice Ghirri, interesse per ciò che abbiamo di fronte, e sviluppare la propria sensibilità con l’obbiettivo di ottenere ciò che vogliamo dalla rappresentazione, non pensare che avremmo potuto “fare meglio con un’altra macchina”. Per fare questo è necessario semplificare l’uso della macchina, ma per semplificare occorre conoscere lo strumento.

Insomma alla fine di tutto questo discorso c’è sempre un punto fisso, una specie di rampa di lancio, ed è la capacità di farsi sorprendere, anche nelle cose di ogni giorno. Gianni Celati, nel bellissimo ricordo che scrive del suo amico Luigi alla fine del libro, parla di uno “stato di incantamento”, che mi sembra una definizione perfetta.

Luigi Ghirri, Bologna, 1987 ©Eredi Ghirri

Luigi Ghirri, Bologna, 1987 ©Eredi Ghirri

Me lo immagino Ghirri, con i suoi occhiali appannati, girare per la sua campagna emiliana ad esplorare nuovi spazi di poesia. Il suo pensiero e le sue immagini sono tracce che vale la pena ripercorrere per ritrovare l’orientamento, in un’epoca confusa dominata da noia e distrazione. Perché fotografiamo? Forse varrebbe la pena chiederselo, ogni tanto.


Il libro di Ghirri è acquistabile su Amazon:

https://www.amazon.it/Lezioni-fotografia-Luigi-Ghirri/dp/8874623127

Qualche link da esplorare:

http://paradisebackyard.blogspot.it/2011/11/aldo-rossi-by-luigi-ghirri.html

http://theredlist.com/wiki-2-16-601-809-view-outstanding-profile-ghirri-luigi.html

http://www.flashartonline.it/article/luigi-ghirri-2/

http://www.laricerca.loescher.it/arte-e-musica/1024-sguardi-che-liberano-pensieri-luigi-ghirri-e-gianni-celati.html

http://www.mackbooks.co.uk/books/44-kodachrome.html

https://frieze.com/article/all-other-images/

2 pensieri su “Pensare in trasparenza (Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri)

  1. Una bella riflessione ed efficace ripresa di concetti fondamentali, un compito in verità difficile rispetto ad un pensiero complesso, rispetto ad un artista… immenso. Probabilmente il più grande nella storia della fotografia. Bella presentazione. Complimenti! Stefano

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