È la prima volta per me alla Biennale di Venezia. Aspettavo da molto tempo di poterla visitare ma non ne avevo mai avuto l’occasione, nonostante le mie frequenti incursioni in quella che considero una città speciale, una sorta di opera d’arte totale che ne contiene altre migliaia. Una vera matrioska dell’arte.
I Giardini come un parco giochi dell’architettura (e dell’arte)
Per chi non sapesse di cosa si tratta la Biennale è la manifestazione d’arte per eccellenza: nata nel 1895 per favorire il mercato artistico e stimolare nuove tendenze, ciò che la caratterizza in modo unico è la location – Venezia – e in particolare i Giardini del sestiere Castello, dove sono presenti i padiglioni nazionali di alcuni dei paesi che ogni due anni espongono una selezione di artisti a propria discrezione. L’altra sede della Biennale, l’Arsenale, recentemente restaurato, è un magnifico edificio storico che però non ha la singolarità delle bizarre architetture dei padiglioni, alcune delle quali risalenti ai primi del ‘900: una visita vale la pena anche solo per questa esperienza “architettonica” davvero unica. Diciamocelo, sembra un parco giochi per appassionati d’arte.
La particolarità ulteriore dei padiglioni è che ogni due anni vengono rinnovati: l’allestimento richiede ogni volta un intervento, che può stravolgere totalmente l’edificio, soprattutto internamente. Ho avuto il piacere, qualche anno fa, di esplorare i Giardini durante il periodo di “pausa”, quando sembrano letteralmente abbandonati. E così quindi li ricordavo: un motivo in più per conoscerli adesso che sono allestiti.







Il padiglione dei paesi scandinavi (qui sopra dall’esterno) quest’anno è interamente gestito dalla Norvegia.

Il padiglione del Giappone

Il Padiglione della Repubblica Ceca e Slovacca

Il Padiglione della Romania

Il Bar
Arte come esperienza
I padiglioni, con i loro allestimenti e le opere/installazioni che contengono, rappresentano ciascuno una singola esperienza. Questo è già l’espressione chiara di un approccio all’arte, quello attuale (che evidentemente mette le radici molto lontano), che si caratterizza come un percorso, una sorta di viaggio, non più come una contemplazione a senso unico. Ciò che si chiede all’osservatore è di esplorare e di vivere la propria personale esperienza, anche se troppo spesso lo si lascia solo nella propria libera interpretazione e fantasia: le spiegazioni sono in certi casi davvero astruse e tutto sommato inutili. Che a volte può essere un vantaggio, ma il più delle volte non lo è affatto.
Per avere una bella panoramica di alcune delle installazioni consiglio di visitare la gallery su Behance di Giulio Speranza dedicata alla Biennale.

L’installazione di Ibrahim Mahama “Out of Bounds” all’Arsenale
Non ho potuto visitare tutto il percorso e anche le varie opere e i padiglioni sparsi per Venezia, ma osservando molti dei padiglioni nazionali, il padiglione centrale dei Giardini e buona parte della selezione esposta all’Arsenale, dove è presente la selezione ufficiale curata quest’anno da Okwui Enwezor con il titolo di “All the World’s Futures”, mi è sembrato interessante cercare di trovare alcuni punti comuni, insomma di fare una specie di sintesi a partire da quel mare confuso di idee/interpretazioni/visioni estetiche nelle quali ci si imbatte lungo il percorso. Lo stesso principio cardine adottato dal curatore sembra essere quello della molteplicità: nella sua visione della Biennale si parla di vitalità e disordine, di un Parlamento delle forme, che lascia immaginare uno spazio di dialogo aperto alle tante espressioni di un mondo fluido, dove i confini dei singoli paesi (ai quali corrispondono i singoli padiglioni) nella realtà sembrano inconsistenti, un po’ perchè gli artisti sono internazionali e un po’ perchè i linguaggi si mescolano e si intrecciano costantemente.
Così a fine “viaggio” ho deciso di provare a descrivere, invece dell’impatto con le singole opere, le linee guida e quindi le tendenze comuni che mi è sembrato di rintracciare osservando l’approccio estetico e il linguaggio delle opere.
(continua)