Tra fotografia e vita

storie di fotografia e arte

Tina e Edward sono sulla terrazza del loro amico Paul. La loro visita non è casuale: quel giorno, il 26 aprile del 1926, migliaia di persone sfileranno per le strade di Città del Messico per ribadire i propri diritti nel bel pieno della Rivoluzione. Sono i lavoratori messicani, con i loro immancabili sombreros, e Tina non può perdere l’occasione di fare qualche scatto da quella posizione privilegiata: poter ritrarre la scena dall’alto, restituire un’idea di quello straordinario evento e della moltitudine riversata nelle strade, le sembra qualcosa di irripetibile. Edward si gode la scena ma non tradisce interesse per qualche scatto, lui la graflex la usa in studio, il movimento lo distrae dal suo perfezionismo.

Ottantamila persone sfilano per ore, e la vista dei loro sombreros sembra annullare tutto il resto. Tina non ha mai sperimentato foto di soggetti in movimento e quel punto di vista le apre possibilità inaspettate.

D’ora in poi tutto ciò che possiedo deve essere legato soltanto alla fotografia – il resto – anche le cose che amo, cose concrete – le condurrò attraverso una metamorfosi – da concrete le trasformerò in astratte – per quanto mi riguarda – e così potrò continuare a possederle per sempre nel mio cuore

(9 febbraio 1926)

Così aveva scritto a Edward da Los Angeles, nel momento del loro distacco, e quei 3 mesi di lontananza avevano lasciato il segno tra i due, seppure la fotografia sembrava unirli sempre di più.
Tina cambiava; la sua passione politica cresceva, le contraddizioni dell’arte apparivano sempre più insolubili ai suoi occhi.

Io non posso – come tu una volta mi hai proposto – risolvere il problema della vita col perdermi nel problema dell’arte. Non solo io non posso farlo ma sento che il problema della vita ostacola il mio problema dell’arte.

(7 luglio 1925)

Il suo profondo senso dell’ingiustizia rende difficile per Tina l’uso della macchina fotografica fine a sé stesso. Non riesce ad ignorare l’urgenza di denunciare le sofferenze e di far proprio quel bisogno di riscatto sociale che appare sempre più irrinunciabile .
Tutto ciò la avvicina al partito comunista e la allontana dal suo maestro, Edward.

Edward Weston, Tina, Glendale, 1921

Edward Weston, Tina, Glendale, 1921

Tina scatta una prima foto: la folla è compatta, i loro cappelli e i loro striscioni comunicano unità di intenti, e la piazza li accoglie nel suo recinto come un fiume che si snoda lungo gli argini. Il tentativo di messa a fuoco della parata in movimento è perfettamente riuscita, quasi si può distinguere qualche volto in primo piano di tre quarti, e qualcuno sembra guardare direttamente in macchina.

Man mano che i piani si allontanano la folla è sempre più indistinta, fino a diventare solo una massa di puntini bianchi in fondo, sotto ai portici dei palazzi di fronte.

Tina Modotti, La parata dei lavoratori, 1926

Tina Modotti, La parata dei lavoratori, 1926

Ma a Tina non basta, o forse pensa di poter fare qualcosa di più con quei sombreros: il simbolo della lotta di Zapata è l’elemento chiave, per la sua semplicità è l’icona della Rivoluzione e unisce i manifestanti annullandone le singolarità.

Così decide di restringere il campo: il soggetto non saranno più i manifestanti nella piazza, ma la folla, la moltitudine. Quei cappelli circolari dall’alto coprono visi e corpi, e annullano le differenze. L’avvenimento, raccontato nella sua contingenza attraverso la prima immagine, nella seconda è trasfigurato: sparito il contesto sono rimaste solo le forme, i sombreros come dischi volanti e gli abiti una massa a tratti indistinta.

Tina Modotti, La parata dei lavoratori, 1926

Tina Modotti, La parata dei lavoratori, 1926

Un piccolo tratto di strada appare in alto a sinistra, restituendoci la direttrice del movimento delle figure, ma il tutto è fuori fuoco e sovraesposto.
Insomma, la foto è tecnicamente “sbagliata”. Forse Tina voleva mettere a fuoco e non c’è riuscita, dopotutto era ai suoi primi tentativi. O forse no. Il risultato è un’immagine straordinariamente efficace, che coglie il senso stesso di quella giornata, nelle sue numerose sfaccettature: la folla unita, la lotta dei lavoratori e il legame con le radici, rafforzati dal richiamo a Zapata, trovano nell’istantanea una vera e propria testimonianza, aperta ad un’interpretazione universale, resa possibile proprio grazie a quegli elementi “di disturbo” che trasformano la figure reali in astrazioni, in forme ideali.

La rivista Mexican Folkways preferirà questa foto pubblicandola qualche mese dopo per raccontare l’evento. Così faranno altre testate, determinando il successo della fotografia “imperfetta”.

Workers Parade è la prima immagine di Tina a trovare un giusto equilibrio tra arte e vita, tra ricerca estetica ed impegno sociale.

Elisa Paltrinieri, Tina Modotti. Fotografa irregolare, Selene Edizioni 2004

Ma questo equilibrio non durerà a lungo. Più tardi il peso delle contraddizioni finirà col costruire un muro tra Tina e la fotografia, che abbandonerà definitivamente per la lotta politica.

…Puro è il tuo dolce nome, pura è la tua fragile vita:
d’ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma;
d’acciaio, linea, polline, si costruì la tua ferrea,
esile struttura…

Pablo Neruda, Tina Modotti è morta, 1942

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