Pop Naturalistico?

storie di fotografia e arte

Se provassimo a viaggiare indietro nel tempo di almeno 50 anni, ci ritroveremmo nel bel mezzo di quel fenomeno artistico e culturale dalle enormi conseguenze (in particolar modo sulla fotografia) quale è stata la Popart.

Ad essa va associata l’esaltazione della fotografia come atto meccanico, ribaltando così le implicazioni “artistiche” rivendicate faticosamente dai fotografi dalla fine dell’800 in poi: la fotografia si afferma prepotentemente come medium dell’arte, tra gli altri, ma la sua esecuzione è nelle mani di artisti che, non essendo fotografi, perlopiù non ne conoscono la tecnica, né sono interessati alla ricerca della “bella” immagine.

Ciò che la qualifica come parte dell’opera d’arte è il concetto ad essa assegnato, non ha nemmeno importanza che sia stata scattata dall’artista stesso: anzi, più impersonale è, più meccanica è, più rappresenta la serialità dello scenario pop. Andy Warhol diceva: “Vorrei essere una macchina”.

Andy Warhol, Electric Chair, 1964, Screenprint and acrylic paint on canvas, Tate Modern London

Andy Warhol, Electric Chair, 1964, Screenprint and acrylic paint on canvas, Tate Modern London

L’inquietante fotografia di una sedia elettrica diviene uno dei soggetti preferiti dall’artista nell’ambito della sua riflessione sulla morte, in cui opere come questa sembrano fare da contraltare alle immagini patinate dei divi di Hollywood.

Parallelamente al lavoro di molti fotografi professionisti che perseguono ancora la ricerca della composizione, nel mondo più “concettoso” dell’arte la fotografia diviene oggetto di interesse come la scatola di detersivo o la bandiera americana. L’attenzione cade sul suo uso, sul suo consumo, e non sulle qualità estetiche intrinseche all’immagine. Ciò che è stimolante è come essa sia divenuta parte della vita quotidiana nella società di massa, in tutte le sue implicazioni, dalle foto segnaletiche alle immagini pubblicitarie fino all’uso famigliare.

L’arte prende di mira la realtà, le cose, il mondo del consumo e degli automatismi, le convenzioni e il gusto che marchiano la società occidentale, e la fotografia è uno degli strumenti più implicati nel racconto di questo mondo, ma soprattutto nella sua accezione più meccanica e nell’uso più impersonale che se ne può fare: la macchina produce l'”oggetto fotografico” esattamente come una fabbrica produce scarpe.

A.Warhol, Ricercato n.10 con mandato di cattura (Louis M. di profilo) e Ricercato n.10 con mandato di cattura (Louis M. di fronte), 1963, serigrafie su tela

A.Warhol, Ricercato n.10 con mandato di cattura (Louis M. di profilo) e Ricercato n.10 con mandato di cattura (Louis M. di fronte), 1963, serigrafie su tela

Dunque la fotografia viene scelta per le stesse ragioni per cui fino ad allora era stata rifiutata come mezzo artistico: è lo strumento in sé, libero dal coinvolgimento di colui che sceglie come usarlo, ad alimentare il suo coinvolgimento nel “fare” artistico.

A questo punto annullata la ricerca formale, è rimasto il concetto. E’ estremamente importante capire questo aspetto per tutte le conseguenze che tutt’ora determinano diffuse modalità di considerazione della fotografia in ambito artistico. Ed è altrettanto interessante confrontare questo “gusto” con quello che definisce l’apparente estremo opposto, la fotografia naturalistica, nella quale permane, intoccabile, la ricerca della “bella immagine”.

L’ambito prevalentemente tecnico nel quale essa si sviluppa, dovuto alle necessità di riproduzione fedele – l’uso del colore ne rappresenta non a caso una costante, e la cultura di documentazione e conservazione del paesaggio la alimentano considerevolmente – hanno fatto sì che lo scatto in natura conservi quella formalità compositiva e quella ricercatezza tecnica che il mondo dell’arte ha abbattuto da tempo.

Personalmente ritengo che la pratica della fotografia naturalistica, oltre ad essere una grande scuola di tecnica e osservazione, sia uno strumento di conoscenza ravvicinata dell’ambiente assolutamente insostituibile. In questo senso essa si carica di significati “altri” rispetto allo scatto in sé, che ne esaltano il valore anche per chi la pratica. Tuttavia la sua componente “documentaristica” spesso sembra prevalere sull’interpretazione dei fotografi e a mio parere produce dei risultati in “serie”, qualcosa di non così lontano dall'”autore-macchina” esaltato da Warhol.

I magnifici scatti del National Geographic ci dicono molto del nostro mondo, ma quanto raccontano dei loro esecutori?

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