Gli analfabeti del futuro non saranno tanto coloro che ignorano l’arte dello scrivere, quanto quelli che non sapranno nulla di fotografia
Quest’affermazione dipende da uno dei più influenti artisti del ‘900, Lazlo Moholy-Nagy, nato ungherese e morto da americano, come tanti intellettuali fuggiti dalla persecuzione nazista alla metà degli anni ’30.
Insegnante al Bauhaus dal 1923, è l’autore del primo testo fondamentale sulla fotografia pubblicato dalla celebre scuola di Weimer; fuggito in America, fonda a Chicago nel 1938 l’Illinois Institute of Design.
Ho scelto una serie di sue immagini tra le più interessanti: hanno molto in comune tra loro, compreso il dipinto “costruttivista”.

Lazlo Moholy-Nagy, Bauhaus Balconies, 1926
Diagonali, rette, parallele e perpendicolari si incrociano creando una rete, più o meno intricata. Inquadrature che cercano forme, spazi, superfici più che soggetti.
È l’esatto opposto della fotografia “giornalistica”, è l’idea che la fotografia possa mostrare la forma segreta delle cose, la struttura profonda della vita urbana nell’Europa del XX secolo. Non fatti, non racconti, ma geometrie.
(La fotografia) è divenuta, oggi, un mezzo per introdurre in campo ottico qualche cosa di completamente nuovo nel mondo
Eppure se fosse un semplice esercizio geometrico forse risulterebbe arido, estremo ma senza poesia.

Lazlo Moholy-Nagy, View from the Pont Transbordeau Marseille Iron Column, 1929
La fotografia si libera della pittura (“(anche la fotografia), come la pittura, è passata attraverso le fasi di tutti i vari “ismi” artistici senza trarne il minimo vantaggio“) per divenire strumento di indagine della realtà nei suoi spazi più frammentari e allo stesso tempo tangibili.
Alla base di questo c’è il collage, il ready-made, e il fotogramma, strumenti fortemente sperimentali, il cui risultato è l’esposizione e la libera associazione di pezzi di realtà liberati dal contesto e dalle regole della rappresentazione prospettica.

Lazlo Moholy-Nagy, Fotogramma, 1925-27
In fotografia si rompe la necessità del racconto e si ricercano astrazioni, punti di vista anomali, ribaltamenti, come se questa fosse capace di generare un nuovo mondo attraverso una “nuova visione” delle cose.
L’artista d’oggi è qualcosa di più d’una perfezionata macchina fotografica: è più complesso, più ricco, più esteso
Paul Klee, Vie allo studio della natura, 1923
Secondo Klee l’uomo conosce gli oggetti aldilà dell’apparenza, ed è in grado di sezionarli per mostrarne la struttura essenziale, un frammento di verità. L’astrazione è un procedimento che consente di annullare completamente la realtà, ma talvolta la conserva evidenziandone aspetti nuovi, mai osservati prima.
Le fotografie di Moholy-Nagy propongono una realtà anomala, ma rimangono ancorate ad essa; la visione dal basso o dall’alto è la strada prediletta per cogliere punti di vista inediti e allo stesso tempo geometricamente strutturati.
In fondo le sue foto evocano “dettagli” proprio come farebbe oggi una macrofotografia, a dispetto dell’ampiezza della visuale. Dal grande al piccolo l'”architettura” rimane la stessa.
E’ già un caso senza precedenti che una forma di espressione così meccanica come la fotografia abbia conquistato un tale peso e un tale potere e sia diventata, nel breve arco di un secolo, una delle forme visive oggettive più importanti.

Lazlo Moholy-Nagy, A 19, 1927 Oil on canvas, 830 x 990 mm
E dobbiamo ringraziare anche il signor Moholy-Nagy se il riscatto è avvenuto così rapidamente: la sua instancabile ricerca ha spinto la fotografia decisamente in avanti sulla strada dell’autonomia artistica.
Osservare il mondo attraverso le sue strutture profonde è forse la sfida più complicata e affascinante lanciata dall’arte del ‘900. È una vertigine che val la pena di provare.
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